Verso Cassandra 2019
dal 26 novembre al 1 dicembre 2019 e dal 5 al 8 dicembre 2019
VERSO CASSANDRA
da Omero a Christa Wolf
Teatro Out Off via Mac Mahon 16, MILANO
con Elisabetta Vergani
percussioni e canto dal vivo Danila Massimi
Musiche registrate Ramberto Ciammarughi
Allestimento scenico Federico Fedostiani
Luci Luigi Chiaromonte
Drammaturgia e regia Maurizio Schmidt
Organizzazione Marta Ceresoli e Davide Pansera
Ufficio stampa Maddalena Peluso e Teatro Out Off
Spettacolo inserito nell’abbonamento Invito a Teatro
Spettacolo parte de LA TRILOGIA DELL'EST EUROPA un progetto di Maurizio Schmidt e Elisabetta Vergani per AL DI LÀ DEI MURI di Teatro Out Off in collaborazione con Farneto Teatro. Ad esattamente trent'anni dalla caduta del Muro di Berlino Farneto Teatro riporta in scena al Teatro Out Off la fortunata quanto inconsueta Trilogia dell'Est Europa - progetto di testi scritti al di là del muro e prima della sua caduta che andò in scena nelle stagioni 1990/91 e ‘91/92 proprio all'OutOff e che determinò la nascita a Milano di un nuovo gruppo teatrale, Farneto Teatro, fondato da Maurizio Schimdt e Elisabetta Vergani.
Quello di Cassandra è un mito antichissimo, capace di parlarci da profondità remote.
La vicenda è nota: Cassandra, figlia prediletta del re di Troia, è ritenuta pazza perché si oppone, unica fra tutti e con tutte le sue forze, all’entrata in città del “cavallo” donato dai greci. Dopo il funzionamento dello stratagemma e la distruzione di Troia, i greci rimarranno gli unici a raccontare la sua storia e la scriveranno a modo loro: chiamandola “veggente” e facendo nascere il mito della profetessa medio-orientale che, per essersi negata al dio dei greci Apollo, viene condannata a non essere creduta dai suoi contemporanei.
I greci, gli inventori del teatro tragico, concluderanno poi quella vicenda da par loro: nell’unica tragedia rimasta che parli di lei (l’”Orestea” di Eschilo), Cassandra verrà uccisa come preda di guerra davanti alle mura di Micene in terra greca. Da lì lancerà, prima di morire, la sua ultima profezia di sciagura verso quella civiltà che ora si crede padrona del mondo.
Nasce così il mito della profetessa di sventura. Cassandra è diventato il toponimo del dire la verità e non essere creduti, predire la sventura che sta per avvenire, essere di malaugurio. Nella nostra lingua il suo nome è sempre pronunciato in forma dispregiativa.
Eppure - a guardar bene - tra i cinquanta ben più famosi figli di Priamo è lei ad essere sopravvissuta. La sua tragedia è quella di ogni lingua perdente, inascoltata anche se dice la “verità”. A livello mitico, non è secondario che ad essere capace di prevedere il futuro (semplicemente perché disposta a guardare il presente) sia una donna. Una donna che prevede la catastrofe cui va incontro la sua città e cerca disperatamente con la parola di fermarla.
Quasi fosse il primo intellettuale moderno affacciato sul baratro del sapere, Cassandra che non rinuncia a dire anche se rimane inascoltata è forse l’emblema di ogni concezione civile della cultura.
Tremila anni dopo possiamo dirlo: la provocatrice Cassandra aveva ragione, sia nel profetizzare la fine di Troia che nel profetizzare la fine di Micene, la capitale dell'impero vincente. Di entrambe, impietosamente, rimane ciò che la storia ci ha tramandato: rovine.
Nella famosa riscrittura di Christa Wolf – un cult-book da varie generazioni – una donna di oggi davanti a quelle rovine si chiede: chi era davvero quella donna prima che un greco scrivesse di lei? E la storia di Cassandra diventa la storia della dolorosa scoperta dell’estraneità al proprio mondo. La storia di un dolore psichicamente insopportabile, di una sacerdotessa senza la fede persa nelle pratiche del culto di corte, che all’improvviso scopre in sè la capacità di “vedere” semplicemente ascoltando le reazioni del proprio corpo di fronte a segnali cui nessuno dà peso, ma che sono sotto gli occhi di tutti. Quella che gli altri chiamano paura, per lei diviene sapienza.
Vede così in anticipo ciò che tutti sembrano non vedere: la rovina sicura di una guerra giustificata da bugie che colpiscono l’immaginazione ed ottundono il cervello. Davanti alla "bugia di stato" del rapimento della bella Elena da parte di Paride sentirà in sè nascere un disgusto che non troverà forma di espressione se non contro se stessa: un delirio, una malattia che abiterà il suo corpo alla ricerca disperata di una voce per salvare la città che tanto ama.
Poi uscirà dal palazzo, negherà i suoi compiti di sacerdotessa ufficiale, scoprirà un gruppo di fuoriusciti che resiste e tramanda antiche usanze religiose cariche di una fede e di un amore sconosciuti. Allora dal fondo del suo malessere vedrà che ad oscurare le menti è una logica di false alternative che tutti hanno accettato: uccidere o morire. Cassandra troverà finalmente la voce e sarà un grido pieno di dolore: tra uccidere e morire c’è una terza via, vivere. Quello che nessuno sa più fare.
Il plot del romanzo di Christa Wolf è assai semplice: una donna moderna (una scrittrice in viaggio turistico) di fronte alle rovine della Porta dei Leoni di Micene, vive una allucinazione, torna indietro di 2500 anni e vede Cassandra trasportata in trionfo quale vittima sacrificale dai vincitori greci sotto quella stessa porta. Nello spazio di un tramonto, di fronte alle stesse pietre che hanno conosciuto il mito, si identifica con Cassandra che nel momento della morte vede scorrere nella propria memoria tutta la sua vicenda.
La “Cassandra” di Farneto Teatro è una telefonata all’antichità, la connessione tra due donne al di là del tempo. Ma soprattutto tratta di una capacità di "vedere" perduta: è una struggente indagine femminile su quell'errore dell'intelligenza costretta da false alternative da cui nasce ogni guerra e sulla irresponsabilità del non voler "vedere" quell'errore. Perché, grida la Cassandra di Christa Wolf, "si sa sempre quando comincia la guerra, mai quando comincia la vigilia della guerra".
La drammaturgia nasce dalle suggestioni derivanti dall’Iliade, da una parte, e dal romanzo di Christa Wolf dall’altra; La realizzazione scenica nasce dall’incontro tra il lavoro di una attrice nel pieno della sua maturità espressiva (Elisabetta Vergani) e di una percussionista etnica di grande talento (Danila Massimi). Ne deriva un racconto in cui i suoni si intrecciano continuamente all’azione scenica, un attraversamento immaginario dell’esperienza di Cassandra carico di atmosfere arcaiche e potenti.